ELOHIM?
a cura di Daniele Salamone
Mauro Biglino ha affrontato l'argomento "Elohim" in diversi suoi libri, i quali non presentano differenze espositive sostanziali, poiché alla fine il succo del suo discorso rimane sempre tale e quale. Di seguito, elencherò solo una breve selezione di alcuni dei testi in cui l'autore dedica spazio alle analisi di questa parola ebraica, indicando il titolo dell'opera, l'anno di pubblicazione dell'edizione in nostro possesso e il numero di pagine dedicate:
Il dio alieno della Bibbia (2011) 4 pagine
La Bibbia non parla di Dio (2015) 14 pagine
Antico e Nuovo Testamento
libri senza Dio (2016) 34 pagine
Gli dèi della Bibbia (2023) 28 pagine
Chi, come me, ha letto tutti i libri di questo autore, non può fare a meno di chiedersi perché uno scrittore prolifico come lui senta l'esigenza di affrontare sempre lo stesso argomento in diversi libri, senza aggiungere informazioni rilevanti e davvero inedite. Questo vale anche per la stragrande maggioranza dei suoi altri argomenti principali come ruach, nefilime keruvim, solo per citarne alcuni.
Voglio sinceramente consigliare al lettore di buon animo, anche a chi potrebbe non nutrire una particolare simpatia nei miei confronti, che sarebbe stato sufficiente leggere anche uno solo dei libri sopra indicati per farsi un'idea generale del pensiero di Biglino, senza dover spendere i propri soldi duramente guadagnati per acquistare libri e rileggere sempre le stesse cose, anche se con parole e sintassi diverse. Se proprio un nuovo lettore di Biglino vuole tenersi informato sul pensiero di questo autore in merito all'argomento "Elohim", consiglio la lettura della pubblicazione più aggiornata. Rispetto ai primi libri, quelli più recenti sono notevolmente "migliori", non perché siano più "credibili" (tutto il contrario), ma perché sono scritti meglio. Infatti, confrontando i libri più datati (dal 2015 in giù) con quelli più recenti (dal 2015 in su), si nota una cura editoriale inferiore, quasi come se fossero stati impaginati con strumenti informatici editoriali tutt'altro che professionali e, per di più, da studenti di scuola media. Al contrario, i più recenti, come quelli editi da grandi case editrici come Mondadori e l'attuale Tuthi, mostrano un notevole salto di qualità visivo.
Comunque, al di là dell'aspetto estetico il cui gusto è soggettivo, l'importante è essere chiari e mai ambigui, anche se il libro, esteticamente parlando, lascia a desiderare. E Mauro Biglino, riguardo al suo pensiero su "Elohim", è stato già abbastanza chiaro a partire da "La Bibbia non parla di Dio", opera alla quale abbiamo dedicato un best-seller di risposta dal titolo "La Bibbia non è un Mito". Nel suo ultimo libro, la prima cosa che Biglino si chiede è: «la parola "Elohim" significa "Dio"?» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 41.) Chi ha letto i suoi precedenti libri sa che per lui la risposta è "no". Interessante è notare che mai nessun antico pensatore ebreo — almeno che io sappia — si sia posto il problema, visto che secondo lo scrittore torinese nemmeno «gli autori antichi nel momento in cui quei testi [cioè la Bibbia, ndr] sono stati redatti» sapessero precisamente «cosa significasse la parola "Elohim"» (Ibid). In sostanza, secondo Mauro Biglino, gli autori biblici sarebbero stati i primi a non conoscere il significato della parola "Elohim" pur avendola scritta nei loro manoscritti.
Ma cosa accadrebbe se ponessimo la stessa domanda a un ebreo a caso di nome Maimonide?
Rabbi Moshe ben Maimon, noto anche come Ram- bam, è considerato come uno dei più importanti patriarchi dell'ebraismo rabbinico del Medioevo. La risposta a questa domanda la troviamo nella sua enciclopedica opera Moreh Nevukhim (Guida dei Perplessi, letteralmente "insegnante imbarazzato"):
«Ogni ebreo sa già che il termine 'Dio [elohim]' è equivoco: esso vale sia per Dio, sia per gli angeli, sia per coloro che governano gli stati, come ha già spiegato 'Onqelos il proselita'» (Maimonide, La Guida dei Perplessi. Parte I capitolo II., p. 92.)
Maimonide era consapevole che la parola elohim fosse equivoca. Se Biglino avesse letto queste parole, sarebbe stato subito pronto a far squillare le trombe di allarme e di gioia, affermando che "ogni ebreo" non conosce il reale significato della parola elohim, e che ad ammetterlo è stato Maimonide, "il più grande rabbino di tutti i tempi!". Tuttavia, in realtà, Maimonide non intendeva sollevare dubbi sul "significato" di elohim; piuttosto, intendeva sottolineare che poiché la parola si presta a diversi significati, può risultare equivoca nel momento in cui bisogna decidere come tradurla e quando applicarla a «Dio, sia agli angeli, sia a coloro che governano gli stati», cioè agli esseri umani. Elohim è quindi una parola che denota non il nome proprio di un gruppo di soggetti o una categoria di appartenenza, ma l'esercizio di "autorità" governativa e legislativa divina, angelica e umana. A prova di questo, è la traduzione greca della Bibbia dei Settanta, o Septuaginta (LXX). Un brano biblico esemplificativo, nonché uno dei più classici usati dalla fastidiosa «cultural guardianship», è il Salmo 8:5. Nelle «Bibbie che abbiamo in casa», leggiamo:
«Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio»
Le traduzioni italiane Nuova Riveduta, Nuova Diodati, Riveduta 2000 e Riveduta concordano nel tradurre la parola elohim con «Dio». Tuttavia, le versioni CEI, Ricciotti, Tintori e Martini concordano sul fatto che la parola può essere tradotta con «angeli». Perché tradurre elohim con «angeli»? Questi traduttori concordano che la parola elohim si presta anche a questo significato (come confermano tutti i dizionari di ebraico biblico), oppure hanno tratto questa lettura semplicemente dalla Septuaginta che traduce l'ebraico אלהים (elohim) con il greco ἀγγέλους (angélous)?
Gli antichi ebrei della diaspora Alessandrina in Egitto, quando hanno tradotto l'Antico Testamento per la prima volta dall'ebraico al greco, hanno scritto: «Tu l'hai fatto poco meno degli angeli». Quindi, sia nella seconda metà del II secolo a.C. che nel I secolo d.C., «ogni ebreo» era consapevole che elohim potesse essere applicato sia a Dio che agli angeli. Infatti, il Salmo 8:5 della LXX viene citato testualmente dall'autore di Ebrei 2:7a: «Tu lo hai fatto di poco inferiore agli angeli» (Nuova Riveduta). Sembra evidente che l'autore agli Ebrei usasse la LXX come testo di riferimento, dato che la sua citazione appare come una copia letterale, parola per parola, della LXX stessa.
- Salmo 8:5 (LXX)
ἠλάττωσας αὐτὸν βραχύ τι παρ ̓ ἀγγέλους
- Salmo 8:5 (come citato in Ebrei 2:7)
ἠλάττωσας αὐτὸν βραχύ τι παρ ̓ ἀγγέλους
A distanza di dodici anni da una pubblicazione all'altra, sia ne "Il dio alieno della Bibbia" (2011) che ne "Gli dèi della Bibbia" (2023), Biglino propone le definizioni che i dizionari danno per la parola elohim:
«1. Alcuni
dei significati che i dizionari di ebraico biblico attribuiscono a questo
termine sono:
• "governatori"
• "giudici"
• "dèi"
• "esseri sovrumani"
• "angeli"
• "figli di Dio"
• "uomini forti"
• "dio" o "divinità" (se considerato come un plurale intensivo) • "esseri
simili a Dio"» (Biglino,
Il dio alieno della Bibbia, p. 46)
E ancora:
«1. Alcuni significati che i dizionari ebraici biblici attribuiscono al termine "Elohim" sono: "governanti", "giudici", dèi", "esseri sovru- mani", "angeli", "figli di Dio", "potenti", "Dio", "divinità", esseri si- mili a dèi", "quelli dall'alto"» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 42)
Confrontando le due citazioni di cui sopra, si nota che da dodici anni a questa parte il pensiero di Biglino è rimasto praticamente invariato, con poche modifiche nei vocaboli utilizzati, come ad esempio «potenti» invece di «uomini forti», «esseri simili a dèi» invece di «esseri simili a Dio», e l'aggiunta dell'espressione «quelli dall'alto». Quest'ultima definizione sembra non essere presente nei dizionari autorevoli come il BDB e l'HA- LOT, ma richiama il significato della parola sumera a.nun.na.ki, che significa «quelli dall'alto» o «coloro che dal cielo giunsero dalla terra» (Salamone, La Bibbia non è un Mito, p. 48.)
Qui Biglino attribuisce alla parola ebraica elohim il significato corrispon- dente alla parola sumera a.nun.na.ki, mentre in realtà la parola sumera affine all'ebraico è dingir (o dingir.dingirper la forma plurale elohim).
Tra le definizioni tratte dai dizionari, e Biglino stesso lo conferma, c'è «Dio» o «dèi». Questo dettaglio da solo sarebbe sufficiente a smontare le sue tesi, poiché se in precedenza negava il significato di «eternità» per olam, semplicemente perché, a suo avviso, i dizionari non fornirebbero mai questo significato e addirittura incoraggiano a non tradurre in questo modo, nel caso di elohim non si può negare che la definizione «Dio» sia effettivamente presente e quindi elohim significa «Dio». Questo potrebbe significare due cose: (1) negare l'evidenza e (2) negare l'affidabilità dei dizionari quando non gli è conveniente, ma utilizzarli quando lo è (metodo dei dizionari rotanti). Biglino, ammettendo che i dizionari forniscono la definizione «Dio» per elohim, anche se non specificano se e perché elohim possa o non possa essere tradotto così, finisce per contraddire sé stesso, se applichiamo lo stesso principio argomentativo che lui utilizza alla parola olam.
Va notato che l'ebraico biblico è una lingua antica con strutture grammaticali e convenzioni linguistiche che possono differire da quelle delle lingue moderne. L'uso dell'articolo determinativo con elohim è solo uno degli aspetti interessanti e ricchi della lingua ebraica utilizzata nella Bibbia e va considerato nel contesto più ampio dell'antica cultura ebraica.
Anche il rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, Rav Riccardo Di Segni, ha confermato in una video intervista su YouTube in risposta alle affermazioni di Mauro Biglino che:
«Elohim può significare, dico, cose differenti: Elohim può signi- ficare "persone speciali", può significare "giudici" e può essere un modo per indicare "Dio". Ok? Non è che Elohim non significa "Dio", Elohim significa anche "Dio". Ok? Che sia grammaticalmente plurale è noto fin dall'inizio della storia, non c'è nessuna novità, e anche l'antichissima esegesi cioè i commenti degli antichi rabbi- ni, notavano il fatto che c'è una incongruenza tra questo nome che compare nella prima frase della Genesi in cui è detto che "All'inizio creò Elohim il cielo e la terra". Creò è singolare, Elohim è plurale. Quindi, nessuna novità in quello che dice, punto» (Intervista a Mauro Biglino 2.0 - Confronto a Distanza con Rav Di Segni (Pubblicato il 04/09/2015)", visionabile dal seguente collegamento: www.youtube.com/watch?v=l- 36fnNeHidk)
Insomma, alcune delle cose che dice Biglino non sono affatto nuove per il rabbino capo di Roma, anzi dalle espressioni del suo volto si capisce che sia tutt'altro che stupito nel sentire cose ovvie. La sua affermazione «Elohim può significare, dico, cose diverse [...] Elohim significa anche "Dio"» va nettamente in contrasto con quanto affermato da Biglino stesso fin dall'inizio della sua carriera da divulgatore biblico: «Elohim non significa Dio», e che nessuno conosce il vero significato di questa parola. Questa intervista sarebbe sufficiente a porre definitivamente fine alla questione su elohim sollevata dall'autore torinese. Tuttavia, dal 2011 a oggi, egli ha continuato a pubblicare libri in cui insistentemente torna a ribadire sempre le stesse speculazioni. Il suo pensiero non è cambiato nemmeno di una virgola neanche di fronte alla correzione di un rabbino. Pertanto, se fosse stato intellettualmente onesto come sostiene di essere, qualche serio e sincero dubbio (visto che il dubbio gli piace così tanto) avrebbe dovuto sorgergli. Ma come disse l'antico saggio:
«Chi corregge il beffardo attira insulti, chi riprende l'empio riceve affronto. Non riprendere il beffardo, per evitare che ti odi; riprendi il saggio, ed egli ti amerà» (Proverbi 9:7-8)
«Il beffardo non ama che altri lo riprenda; egli non va dai saggi» (Proverbi 15:12)
Tutto questo è davvero molto curioso, oltre che ironico, perché quando un rabbino dice qualcosa che non contrasta con ciò che afferma Biglino, i suoi seguaci alzano subito le mani di gioia, dicendo che "anche i rabbini ebrei danno ragione a Biglino!". Ma quando un rabbino come Riccardo Di Segni contesta non solo il falso sensazionalismo, ma anche gli errori di ebraico di Biglino, per i suoi seguaci, Di Segni diventa improvvisamente un perfetto ignorante. Il saggio dei Proverbi aveva proprio ragione!

LE SEI DOMANDE DI BIGLINO
Nella sua indagine su Esodo 3:12-15, Biglino pone alcune domande alle quali cercheremo di fornire una risposta semplice. Nel frattempo, pro- pongo la lettura del brano in questione, così sapremo di cosa stiamo parlando.
«E elohim disse: "Va', perché io sarò con te. Questo sarà il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, voi servirete elohim su questo monte". Mosè disse a elohim: "Ecco, quando sarò andato dai figli d'Israele e avrò detto loro: 'L'elohim dei vostri padri mi ha mandato da voi', se essi di- cono: 'Qual è il suo nome?' che cosa risponderò loro?" Elohim disse a Mosè: "Io sono colui che sono". Poi disse: "Dirai così ai figli d'Israele: 'l'Io sono mi ha mandato da voi'". Elohim disse ancora a Mosè: "Dirai così ai figli d'Israele: 'Yahweh, elohim dei vostri padri, elohim di Abraamo, elohim d'Isacco ed elohim di Giacobbe mi ha mandato da voi'. Tale è il mio nome in eterno; così sarò invocato di generazione in generazione"»
1. Biglino si domanda: se l'Elohim dei padri era inequivocabilmente uno solo, come poteva Mosè avere dei dubbi sulla sua identità?
Questa domanda denota una evidente lacuna in "testo e contesto". Mauro Biglino arriva a conclusioni non plausibili e affrettate, troncando di netto tutto il background storico, religioso e culturale che fa da cornice e sfondo alle vicende bibliche e che lo aiuterebbe a trovare una risposta ai quesiti che si pone.
Dobbiamo ricordare in quale fase della storia d'Israele ci troviamo. Gli ebrei stanno patendo duramente la schiavitù in Egitto da oltre 80 anni e, per i 400/430 anni precedenti, non hanno fatto altro che familiarizzare con la cultura e la religione della potenza che li ospita: l'Egitto. Nel momento in cui Giacobbe dovette trasferirsi in Egitto per assicurarsi una vecchiaia tranquilla grazie alle cure di Giuseppe, che ne era diventato il vice faraone (Genesi 46-50), l'intera famiglia dovette gradualmente
adeguarsi agli usi e ai costumi locali, sia religiosi che sociali, fino ad abbracciare inevitabilmente le pratiche religiose che il paese offriva loro (Secondo i calcoli biblici, e anche rabbinici, dal trasferimento di Giacobbe in Egitto all'uscita degli Ebrei dall'Egitto con Mosè, trascorrono circa 215/216 anni.)
Gli ebrei non potevano permettersi il lusso di adorare Yahweh in terra straniera; a quanto pare, l'Egitto non permetteva la libertà di culto, tanto che lo stesso Mosè chiede al faraone di lasciarli andare nel deserto, a una distanza di tre giorni di cammino, per dedicare un po' di tempo al culto del Dio dei loro padri (Esodo 3:18; 5:3; 8:27).
Perché andare nel deserto per adorare Yahweh? Non potevano farlo in Egitto stesso? Purtroppo, questo non era possibile perché gli Egiziani avevano in abominio i pastori ebrei, le ancestrali pratiche religiose ebraiche/cananee, e coloro che non si limitavano ad allevare certi animali «in quanto un certo pregiudizio vietasse di parlarne come cibo [...] ma le pecore non dovevano essere allevate ad altro scopo dal momento che la superstizione proibiva di usarne la lana per indumenti» (Gardiner, La civiltà egizia, p. 39.)
Gli Egiziani consideravano sacri alcuni animali che gli ebrei avrebbero sacrificato a Yahweh (Genesi 46:34; Es 8:20-32). Quindi, familiarizzando con le numerosissime divinità del pantheon egizio, gli ebrei dovettero adeguarsi.
Mosè è di stirpe ebraica, della tribù di Levi, ma nato da cittadino egiziano. Mosè era egiziano e il suo nome tipicamente locale lo dimostra in modo eloquente. L'eroe degli ebrei non è cresciuto in una famiglia dove si adorava solo Yahweh, ma direttamente nella corte del faraone, dove si respirava solo e soltanto aria di politeismo, stregoneria, magia e molto altro. Mosè è stato cresciuto e «istruito in tutta la sapienza degli Egiziani» (Atti d. A. 7:22), probabilmente con poca, se non addirittura scarsa, consapevolezza di chi fosse Yahweh, sebbene potesse essere consapevole della sua origine ebraica.
Mosè è nato e cresciuto come egiziano politeista, un principe d'Egitto destinato a diventare faraone, ma che rifiutò per fede questo ufficio (Ebrei 11:24) e che fino all'età adulta non aveva mai pregato, adorato o offerto un sacrificio a Yahweh. Prima che Mosè scappasse via dall'Egitto dopo l'uccisione di uno schiavista egiziano che maltrattava un ebreo, non sapeva nulla di Yahweh. Tutto quello che sapeva sulla religione era il culto alle divinità egiziane e, avendo di tanto in tanto contatti con la sua famiglia biologica (Esodo 2:11), poté solo sentire parlare di un Yahweh "sbiadito" dal tempo che fino a quel momento era stato in totale silenzio. Quindi, sembra più che ovvio e plausibile che Mosè avesse dei dubbi sull'identità di Yahweh, un Mosè che conosceva meglio delle sue tasche ogni singola divinità egizia mentre di Yahweh non ne sapeva nulla. Persino il faraone era all'oscuro di chi fosse Yahweh (Esodo 5:1).
2. Biglino si domanda: se l'Elohim dei padri era inequivocabilmente uno solo ed era il "Dio" unico, come poteva tutto il popolo avere dei dubbi sulla sua identità?
La risposta fornita sopra per Mosè non differisce da quella che potremmo dare ora per il popolo. Gli Israeliti avevano scarso ricordo di Yahweh, e ciò che sapevano era offuscato da secoli di oscurità. Per gli ebrei, non c'era altro dio incarnato e re oltre al faraone, e anche loro, come Mosè, dovettero adattarsi agli usi e costumi egiziani. Non possiamo escludere la possibilità che alcuni ebrei invocassero segretamente "il Dio dei loro padri" per essere salvati, ma la cui identità era stata fino ad allora sconosciuta o dimenticata. Quindi è del tutto normale, per non dire ovvio, che il popolo mostrasse perplessità, dubbi e incertezze riguardo all'identità di questa "nuova" divinità che ora gli veniva loro presentata.
3. Biglino si domanda. perché chiederne l'identificazione? Perché avere dei dubbi sulla risposta da dare?
Credo sia normale, dopo una lunga lista di divinità contemplate e adorate in Egitto, chiedere a Yahweh: "Chi sei tu? Come ti chiami?". Yahweh si presenta a Mosè dicendo: "Io sono il Dio di Abraamo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe". Ma evidentemente non era sufficiente; Mosè non era soddisfatto di questa risposta e quindi interagisce con questa divinità in modo molto particolare: «non attraverso sogni e visioni, ma di persona, senza enigmi, in modo chiaro». All'epoca non si mostrava una "fede cieca" verso la prima divinità incontrata, ma si cercava di accertarsi delle sue, diciamo, "referenze" per potersi fidare di lei. Questa mentalità si basava proprio sulla diversità di divinità contemplate nel Vicino Oriente antico. Gli antichi potevano scegliere in chi credere e in cui riporre la propria fiducia e sicurezza: alcuni pregavano e adoravano più divinità insieme (politeismo), altri invece preferivano una sola divinità rispetto ad altre. Quest'ultima forma di credenza non deve essere identificata con il monoteismo. Il monoteismo contempla l'esistenza di una sola divinità nell'intero universo. La situazione religiosa degli ebrei era diversa: quando impararono a conoscere Yahweh, preferendo a tratti il suo culto, essi non rigettavano la possibilità che in cielo, sulla terra e sotto la terra po- tessero esistere più divinità, ma seguivano solo una di esse. Queste divinità, tanto in Egitto quanto nel resto del mondo antico, erano astratte. Per esempio, parlando di Maat, dea dell'ordine e della giustizia, uno tra i più noti egittologi al mondo, Nicolas Grimal, nonché docente all'Università di Sorbona, e dal 2000 professore di Egittologia al Collège de France, ha scritto nella sua "Storia dell'antico Egitto" quanto segue:
«Maat ha un posto particolare nel pantheon: non è una dea nel vero senso della parola, piuttosto è un'entità astratta. Ella rappresenta l'equilibrio cui l'universo è giunto grazie alla creazione» (Grimal, Storia dell'antico Egitto, p. 58.)
È evidente che gli Egiziani credevano in concetti astratti, non in individui in carne e ossa.
Ebbene, la forma di culto e adorazione rivolta verso una sola divinità ma senza escludere l'esistenza delle altre, è nota come enoteismo. Gli ebrei, a partire da Abraamo e forse anche prima, erano enoteisti. Quindi, di fronte a una vasta scelta di divinità in cui credere, ognuna con il proprio nome, pregi e difetti, quando al popolo ebraico venne presentato quell'elohim che dichiarava di essere il Dio dei loro antenati, mi sembra ovvio che l'emozione e lo stupore avessero avuto un ruolo molto importante nella vita degli schiavi ebrei:
è davvero lui l'elohim che stavamo aspettando?
È veramente lui l'elohim dei nostri padri al quale abbiamo rivolto le nostre incessanti preghiere?
Ha un nome questo elohim?
E cosa lo differenzia dagli altri elohim d'Egit- to?
Qual è il suo "curriculum"?
Yahweh risponde a queste domande dichiarando di chiamarsi ehyeh asher ehyeh (sarò quel che sarò) e facendosi conoscere meglio attraverso grandiosi portenti: segni, prodigi, piaghe e meraviglie, tanto che persino il suocero di Mosè, Ietro, dovette fare i conti con la sua religione arabica:
«Ora riconosco che Yahweh è più grande di tutti gli elohim; tale si è mostrato quando gli Egiziani hanno agito orgogliosamente contro Israele» (Es 18:11)
Ietro non nega l'esistenza di altre entità divine (astratte), ma pone Yahweh, a seguito delle meraviglie che Mosè gli aveva raccontato su di Lui, al di sopra di tutti gli dèi che conosceva. È Ietro stesso a definire indirettamente Yahweh come «l'Altissimo» o "il più alto fra tutti", che dir si voglia.
Biglino analizza, furtivamente e con molta fretta, Esodo 20, limitandosi a citare solo i versetti 2 e 3. In questa porzione di testo, la parola elohim è utilizzata due volte, la prima con connotazione singolare («Yahweh, elohim tuo») e la seconda con connotazione plurale («altri elohim»). Questo piccolo, ma non indifferente dettaglio dimostra con inequivocabile chiarezza come la parola elohim possa variare nel significato, nonostante la morfologia plurale sia sempre la stessa. Come al solito, il nostro autore torinese pone delle domande senza fornire, ovviamente, una risposta, che invece la Bibbia ci dà.
4. Biglino si domanda: se "Elohim" è inequivocabilmente sempre Yahweh-Dio al singolare, il "Dio" unico, perché Yahweh sente la necessità di specificare che proprio lui è quello che ha fatto uscire gli Israeliti dall'Egitto? Ci potevano forse essere equivoci o dubbi in merito alla sua identità e unicità?
Il capitolo 20 di Esodo introduce i "Dieci Comandamenti" con le famose parole:
«Io sono Yahweh, il tuo elohim, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri elohim oltre a me»
Biglino intende dimostrare che Dio stesso sottolinea di non essere l'unica divinità esistente, poiché ci sono "altre" divinità, ma questa non è una novità. Non esistono poteri forti né élite religiose manipolatrici delle coscienze che riescano a negare o insabbiare questa elementare verità biblica.
Concentrandosi unicamente sulla parola אחרים (acherim, «altri») per dimostrare l'esistenza dell'acqua calda, ovvero l'ovvietà della pluralità di elohim, l'autore torinese pone una domanda che mette in evidenza la mancanza di contesto. Mentre Yahweh stava annunciando il Decalogo a Mosè sulla vetta monte Sinai, il popolo ebraico si trovava alle pendici dello stesso monte, cercando in qualche modo di risolvere una situazione un po' fastidiosa: Mosè era scomparso da circa 40 giorni, la guida che li ave- va fatti uscire dall'Egitto era sparita e non si sapeva che fine avesse fatto.
Il dono dei comandamenti viene esposto nei capitoli 20-31. Questa pericope del libro di Esodo si estende per i 40 giorni in cui Mosè rimase sul monte Sinai, dopodiché scese. Dal capitolo 32 in poi si narra quello che nel frattempo, cioè mentre Dio pronunciava le leggi a Mosè, stava succedendo in mezzo al popolo. Ciò risponde con «inequivocabile chiarezza» alla domanda di Biglino: che senso ha per Yahweh specificare di essere stato lui l'elohim ad aver fatto uscire gli ebrei dall'Egitto? Ecco cosa è accaduto:
«Il popolo vide che Mosè tardava a scendere dal monte; allora si radunò intorno ad Aronne e gli disse: "Facci un elohim che vada davanti a noi; poiché quel Mosè, l'uomo che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che fine abbia fatto". E Aronne rispose loro: "Staccate gli anelli d'oro che sono agli orecchi delle vostre mogli, dei vostri figli e delle vostre figlie, e portatemeli". Allora tutto il popolo si staccò dagli orecchi gli anelli d'oro e li portò ad Aronne» (32:1-3)
In un primo momento, gli ebrei sono consapevoli che a farli uscire dall'Egitto è stato «l'uomo Mosè». Ma subito dopo avviene un colpo di scena e si dice:
«Egli [Aronne] li prese dalle loro mani e, dopo aver cesellato lo stampo, ne fece un vitello di metallo fuso. E quelli dissero: "Oh, Israele! Questo è il tuo elohim che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto!"» (v. 4)
La Bibbia parla di alcuni personaggi ignoti che hanno istigato l'idolatria, definiti «quelli». Chiunque fossero, furono loro a replicare: "No, non è stato Mosè a farci uscire dall'Egitto, ma questo Elohim, il vitello d'oro!". Adesso dovrebbe essere abbastanza chiaro il motivo per cui Yahweh tiene a sottolineare che è stato Lui a far uscire gli ebrei dall'Egitto e non un altro presunto elohim (cfr. Ne 9:18; Salmi 106:19). Mentre Lui e Mosè stavano conversando, il popolo si stava prostrando in segno di omaggio e adorazione di fronte all'immagine di un vitello d'oro che loro stessi chiamavano elohim.
Ma c'è di più. Se andiamo a osservare il testo ebraico, la clausola: «Questo è il tuo elohim» suona אלה אלהיך (elleh eloheka), che letteralmente è al plurale: «Questi sono i tuoi elohim». C'è quindi un errore di traduzione al quale Biglino sembra non fare molto caso, ed è strano per- ché lui è il primo a mostrare molta attenzione ai dettagli che sottolineano la pluralità degli elohim. Ma lo fa, a mio avviso, per un motivo molto semplice: come è possibile che l'elohim vitello d'oro sia uno solo, mentre gli apostati si riferiscono allo stesso vitello al plurale? «Questi sono i tuoi Elohim» è rivolto a un singolo elohim, il vitello d'oro.
Ebbene, questa è l'ennesima prova schiacciante che:
• Qualunque elohim non fosse Yahweh altro non è che un idolo, una statua costruita da mano d'uomo.
• Il termine elohim si presta benissimo a un significato singolare sebbene sia di morfologia plurale.
Quindi, «se facciamo finta che» la Bibbia intenda veramente dire quello che letteralmente dice «senza alcuna necessità di spiegazioni né interpretazioni», è evidente che non esiste alcun elohim in carne e ossa che il popolo ebraico ha scelto di adorare durante un momento di sbandamento e confusione, ma solo una statua o iconografia d'oro che ricordava agli ebrei l'idolo dell'elohim Egizio Apis.
A proposito del plurale «Questi sono i tuoi Elohim»:
«Il vitello è uno, eppure elohim è plurale. Questo non è un errore del copista o una prova che la Bibbia sia stata in qualche modo manipolata; anzi, era consuetudine degli antichi ebrei contemplare una divinità singolare per mezzo dei plurali, in quanto indicatori d'intensità (plurale d'intensità, appunto). Per esempio, Yehwah viene spesso definito Adonay che è il plurale intensivo ("miei Signori") riferito il più delle volte a Dio (Genesi 15:8) che è uno, ai Suoi rappresentanti (cfr. Gen 19:18), ecc.» (Salamone, Commento a Esodo, Vol.6, pp. 1166-1167; dello stesso autore Torah Study Bible – Esodo-Shemot, Vol. 2, p. 122.)
Dunque sì, è evidente che «ci potevano essere equivoci o dubbi in merito alla sua identità e unicità».
5. Biglino si domanda: se "Elohim" è inequivocabilmente sempre Yahweh-Dio al singolare, perché dice che non ci dovranno essere Elohim che sono אחרים [acherim], aggettivo plurale che significa "altri, diversi, stranieri"?
Diciamo che si è già risposto a questa domanda nella spiegazione precedente. Gli elohim acherim (dèi altri) non erano altro che semplici statue, idoli, feticci e immagini religiose costruite dalla mano umana. Quando gli ebrei erano in Egitto, si rivolgevano agli idoli egiziani e alle rispettive divinità astratte — personificazioni della natura, dell'ordine e del cosmo — che essi rappresentavano, ma una volta usciti dall'Egitto, non dovevano più seguire ciò che era astratto, ma ciò che era concreto! Ora sarebbe stato il tangibile Yahweh, il vero Dio che non voleva essere rappresentato in alcun modo, a occuparsi realmente e concretamente del Suo popolo.
6. Biglino si domanda: se "Elohim" è inequivocabilmente sempre Yahweh-Dio al singolare, come si poteva pensare che il popolo, appena uscito dalla condizione di sudditanza in Egitto, si sarebbe potuto rivolgere a Elohim che non esistevano e di cui quindi non poteva neppure immaginare l'esistenza?
A differenza degli elohim d'Egitto che non intervengono mai in difesa del popolo egiziano, Yahweh si è servito dell'ideologia e simboli religiosi egiziani per stendere al tappeto l'intero Egitto. Ogni singola piaga rappresentava per gli egiziani un attacco mortale contro l'Egitto e anche contro le divinità egizie stesse soprattutto.
«Quella notte io passerò per il paese d'Egitto, colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, tanto degli uomini quanto degli animali, e farò giustizia di tutti gli elohim d'Egitto. Io sono Yahweh» (12:12)
«Chi è pari a te fra gli elohim, oh Yahweh? Chi è pari a te, splendido nella tua santità, tremendo anche a chi ti loda, operatore di prodigi?» (15:11)
Per esempio, nella vicenda delle piaghe, le acque del Nilo mutate in sangue significano per gli egiziani la morte per dissanguamento del dio Nilo (Hapi, Khnum); l'invasione delle rane rappresenta il dio Heket (divinità raffigurata con la testa di una rana) di cui Yahweh si è servito per umiliare il faraone; la piaga dell'oscurità del cielo rappresenta un colpo mortale al dio Ra (Per un'indagine più dettagliata sullo schema delle dieci piaghe in relazione alle divinità egizie, si veda Salamone, Commento a Esodo, op. cit.; dello stesso autore Torah Study Bible – Esodo-Shemot, op. cit).
Solo Yahweh era in grado di spegnere il "dio sole", eppure nessuna delle dieci e più divinità egizie coinvolte nelle piaghe d'Egitto è riuscita a coalizzarsi per muovere una feroce guerra contro quella spina nel fianco di Yahweh, il quale pensava di voler comandare in un paese che non è suo (Esodo 9:14,16; 19:5). Come è possibile che dieci e più presunti elohim «in carne ed ossa» siano rimasti a guardare la disfatta del loro popolo e non riescano a tenere a bada un singolo elohim in carne e ossa di nome Yahweh?
Nel corso delle dieci piaghe che colpirono l'Egitto, dunque, si fa riferimento alla sconfitta e alla dimostrazione della superiorità dell'elohim d'Israele sugli elohim d'Egitto, i quali, evidentemente, non esistevano nella concretezza fisica, ma solo nell'ideologia astratta religiosa del popolo egiziano. Gli Egiziani si rivolgevano a elohim inesistenti, ma gli ebrei cominciarono a rivolgersi a quell'elohim che ha dimostrato di essere l'unico a interagire in prima persona con il genere umano.
(Tratto da "Gli Dèi Della Bibbia Non Esistono" di Daniele Salamone)
