QUALE DIAVOLO?
A cura di Daniele Salamone
Uno dei più famosi proverbi citati dalla stragrande maggioranza dei credenti recita:
"Il più grande inganno del diavolo è far credere a tutti che non esiste"
Tuttavia, come ci riesce? Sicuramente attraverso lo scetticismo che la scienza nutre riguardo alla dimensione spirituale e attraverso l'irreligiosità e l'agnosticismo. Non ci riesce, invece, con coloro che credono fermamente in lui e coloro che, pur non negando la sua esistenza, non credono in lui. Chi sono coloro che credono nel diavolo così come i credenti credono in Dio? Questi individui sono meglio noti come "satanisti".
Secondo Jennifer Crepuscolo, fondatrice dell'Unione Satanisti Italiani (USI), «Satana non è mai stato nemico dell'uomo», bensì un'entità che «ha sempre lottato in favore della nostra libertà e della nostra auto determinazione» (Chris Heaven, "Satana non è nemico dell'uomo, intervista a Jennifer Crepuscolo". URL: www.mondospettacolo.com/satana-non-e-nemico-delluomo-intervista-a-jennifer-cre- puscolo) in altre interviste, ha affermato che il vero satanismo è un culto indipendente, che non promuove l'ateismo ma abbraccia un sincero legame con gli dèi e il sacro, nutrendo una forte fede in satana (Vedi la seguente pagina URL: www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/ldquo-ve- ro-satanismo-tutt-rsquo-altra-cosa-rdquo-ndash-354283.htm).
Marco Dimitri (1963-2021), fondatore della setta "Bambini di Satana", concepiva il satanismo come una sorta di "movimento culturale". È stata una figura controversa e il suo culto era associato a varie attività criminali, tra cui traffico di droga, prostituzione e omicidio. Tuttavia, le accuse mosse contro di lui si dice siano state false e infondate. I Bambini di Satana credevano nell'esistenza di un'élite satanica che controllava il mondo e si dedicava a sacrifici umani e altri rituali oscuri (Vedi gli articoli bologna.repubblica.it/cronaca/2021/02/13/news/e_morto_marco_di- mitri-287437399/ e cesnur.com/il-satanismo/i-bambini-di-satana). Affermava inoltre di possedere poteri soprannaturali e di essere in grado di comunicare con demoni e altri spiriti maligni. Nel complesso, Dimitri e la sua setta erano ampiamente considerati pericolosi e instabili, e le loro attività hanno suscitato preoccupazione e allarme diffusi in Italia alla fine degli anni '90.
Gli unici testi antichi che trattano di satana e demoni si trovano nelle Scritture giudeo-cristiane e in diverse opere di letteratura giudaica extrabiblica. Mauro Biglino, che a nostro avviso ha cercato invano di dimostrare l'assenza della figura di satana nella Bibbia, ha affermato che «se Satana non esiste, non può esistere neanche il satanismo, idea che trova giustificazione in dottrine del tutto prive di fondamento» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 274). Leggere queste parole suscita un certo effetto, soprattutto provenendo da un individuo che ha fatto parte della Massoneria. Secondo lo studioso torinese, satana e lucifero non hanno esistenza nella Bibbia, ma sono il frutto di un «equivoco» o di un «fraintendimento» nel quale i teologi sarebbero incorsi sin dai tempi dei Padri della Chiesa. Tuttavia, non sono in pochi gli ex massoni che hanno testimoniato l'adorazione di lucifero all'interno della Massoneria, il che rende strano che una figura come Biglino neghi l'esistenza di lucifero considerando il suo coinvolgimento passato proprio nella Massoneria. Se il lucifero venerato dalla Massoneria non coincide con quello della Bibbia, sorge spontanea la domanda:
da dove proviene questa designazione?
Certamente, non è nostra intenzione condurre un'indagine di questo tipo. Procediamo dunque con le nostre analisi. Di seguito, elencherò i due soli testi di riferimento nei quali Mauro Biglino ha già affrontato il tema di "satana-lucifero". Secondo l'autore, l'idea che satana sia «un angelo caduto, cioè un angelo che si è ribellato contro "Dio" e per questo motivo è stato cacciato dal cielo prima della creazione dell'umanità» (Ibid., p. 259.), rappresenta solo un'invenzione tarda della teologia cristiana. Tuttavia, in un testo apocrifo noto come "Vita di Adamo ed Eva", pervenutoci in lingua greca, si racconta di satana che, dopo aver ingannato Eva affinché mangiasse il frutto dell'albero proibito, spiega perché odiasse gli esseri umani. Questo odio era dovuto al fatto che era stato cacciato dal paradiso per aver rifiutato di adorare Adamo, creato a immagine di Dio. Secondo il testo apocrifo, databile dal I secolo a.C. al III secolo d.C. (Sacchi (a cura di), Apocrifi dell'Antico Testamento, Vol.2, UTET 2013. 7 Gen 27:41; 49:23; 50:15; Sal 55:4; Gb 16:9; 30:21), satana fu cacciato non prima ma dopo la creazione di Adamo. Pertanto, doveva essere già diffusa l'idea, in un periodo che va dal periodo pre-cristiano all'era cristiana, che satana era stato allontanato dopo la creazione di Adamo e non prima. Altrimenti, non ci sarebbero state altre ragioni per spingere lucifero, prima di diventare "il diavolo", a ribellarsi contro Dio.
Di conseguenza, l'ipotetico malinteso non può essere attribuito ai teologi cristiani, poiché se il testo apocrifo viene datato al I secolo a.C., in quell'epoca i teologi cristiani non esistevano ancora eppure qualcuno aveva già in mente la caduta di satana come un essere angelico precedentemente associato alle elevate schiere di Dio. Se i teologi cristiani successivi avessero ulteriormente enfatizzato questa credenza già diffusa nell'ambiente giudaico, ciò avrebbe tenuto conto anche dell'esperienza visiva di Gesù, il quale nel V. di Luca 10:18 afferma: «Ho visto satana cadere come folgore dal cielo».
Ora, se la caduta di satana fosse semplicemente un'aggiunta successiva e non parte del messaggio biblico originale, ciò implicherebbe che Gesù è stato ingannevolmente equivoco?
Inoltre, quando Gesù si riferisce alla caduta di satana che ha visto coi suoi occhi, sta parlando della caduta primordiale del diavolo o di un aspetto diverso che non necessariamente si riferisce all'epoca del paradiso terrestre?
Il significato di "satan"
La parola ebraica שטן (satan) ricorre per la prima volta in Genesi 26:21, in relazione al nome dato a un pozzo, Sitnah, conteso da Isacco e alcuni pastori del re Abimelek. Fu assegnato questo nome proprio per ricordare la disputa avvenuta fra questi uomini. Il nome שטנה (sitnah) significa «accusa», «inimicizia», in modo più particolare «conflitto», «ostilità». La parola deriva da stn, «ostacolo», «avversario», «accusatore», ed è affine all'Arabo َشط َن (shatan) che significa «essere lontano» nel senso di "lontano dalla misericordia di Dio". La lettura «satana» deriva dall'Aramaico satana'). È probabile che il termine sia una variazione di (סטנא o שטנא stm), «nemico», «ostile» (HALOT). Il concetto di base della parola שטם indica l'essere ostile, oppositore, ostacolo contro qualcosa o qualcuno.
Di conseguenza, il termine «satana», riferito al diavolo, deriva direttamente da satan. A volte, il termine è preceduto dall'articolo determinativo, da leggersi השטן (ha-ssatan), che non denota mai un nome proprio di persona, ma piuttosto un individuo, umano o sovrumano, che ricopre il ruolo o compito di «avversario, accusatore, ostacolo». Proprio come un articolo prefisso a una parola non si usa mai per un nome proprio (per es. il-Daniele), così anche un suffisso non può fungere da nome proprio (il-Daniele-suo). Pertanto, come evidenziato in un capitolo precedente, quando alcuni testi antichi menzionano «Yahweh di Teman e la sua Asherah», la formulazione originale le'asheratho non rappresenta il nome proprio della dea Asherah, in quanto -tho, che è il suffisso pronominale «[asherah] di lui», impedisce alla parola ashera di essere un nome proprio. Quindi non è corretto affermare che Yahweh abbia una moglie di nome Asherah, ma si tratta invece di un oggetto chiamato asherah, ovvero un palo di legno affiancato al culto di Yahweh.
Ora, riguardo a satana come avversario, non si tratta di un'invenzione successiva alla Chiesa post-apostolica, poiché esistono prove della credenza in questo concetto già nei testi di Qumran, in cui il diavolo è chiamato intercambiabilmente satana, belial (o beliar, cfr. 2° Corinzi 6:15) e mastema. Sebbene in origine satan non fosse inteso come un nome proprio, col passare del tempo ha cominciato ad assumere anche il significato di un nome proprio. Questo fenomeno, noto come "slittamento semantico", non è affatto insolito.
La tautologia che non dimostra nulla
Nel secondo paragrafo, intitolato "Satana come uomo", Mauro Biglino si avventura in discorsi fortemente tautologici, presentando informazioni così ovvie che alla fine non producono alcuna dimostrazione sostanziale. Nel tentativo di sostenere l'idea che la parola satan non sia mai riferita a un ipotetico angelo caduto che la tradizione teologica chiama «satana» con la "S" maiuscola, l'autore torinese porta all'attenzione dei suoi lettori alcuni passi biblici che finora nessuno ha mai contestato diversamente da lui. Il primo caso preso in considerazione è 1° Samuele 29:4.
«Ma i capi dei Filistei si adirarono contro di lui, e gli dissero: "Rimanda indietro costui! Ritorni nel luogo che tu gli hai assegnato e non scenda con noi alla battaglia, affinché non sia per noi un nemico durante la battaglia. Infatti come potrebbe costui riacquistare il favore del suo signore, se non a prezzo delle teste di questi nostri uomini?»
In questo brano, i Filistei, dopo essersi alleati con Davide, perdono fiducia in lui e decidono di rifiutare il suo supporto e aiuto militare. Li troviamo definire Davide come «nemico», con la parola satan presente nell'originale ebraico. È bene notare che nessun teologo, per quanto io ne sappia, ha mai sostenuto che Davide sia satana solamente perché i Filistei lo definiscono satan. Tuttavia, Biglino cerca di sottolineare, con una retorica inefficace, che «[satan] è un attributo del re Davide, chiaramente un uomo, sebbene potente» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 261).
L'argomentazione di Biglino avrebbe avuto un senso logico solo se qualche teologo o rabbino avesse effettivamente sostenuto che in 1° Samuele 29:4 si stesse parlando di satana anziché di Davide. Ma poiché il narratore biblico e ancor meno i traduttori della Bibbia non hanno mai inteso inserire la figura di satana in questo contesto, non ha alcun senso dimostrare che la parola satan, in questo preciso contesto, si riferisca a un essere umano normale.
Lo stesso discorso viene affrontato da Biglino anche in relazione a 1° Re 11:14,23, dove il personaggio di Hadad è definito «avversario» (satan) di Salomone. Da nessuna parte risulta che qualcuno abbia mai sostenuto che Hadad sia satana semplicemente perché si è opposto a Salomone. Inoltre, Yahweh invia a Salomone un altro «avversario» di nome Rezon. Nessuno ha mai affermato che il capitolo 11 di 1° Re parli di due satana. In realtà, non era nell'intenzione del narratore biblico né dei teologi introdurre la figura del diavolo in questo passaggio. In questi brani non ci sono errori di interpretazione né di traduzione. Il discorso di Biglino è meramente tautologico. In realtà, la parola ebraica satan può abbracciare una gamma di significati e sfumature, e nessuno ha mai affermato che questa parola faccia riferimento "solo" al diavolo.

Gustave Doré, Lucifer, the fallen angel
SATANA E' UN ANGELO?
Mauro Biglino continua la sua analisi, convinto che «i [malakim] non sono "angeli" nel senso in cui li intende la teologia e la religione» (Ibid.). Tuttavia, noi abbiamo dimostrato il contrario attraverso il Libro di Tobia, un apocrifo risalente ad almeno 200 anni prima dell'era cristiana e ambientato intorno all'VIII-VII secolo a.C. Secondo gli autori di questo libro, ogni interazione degli angeli con gli esseri umani rappresentava solo un'attività apparentemente umana. In altre parole, gli angeli in sembianza umana si comportavano esattamente come gli esseri umani, ma solo apparentemente, al fine di nascondere la loro vera identità ultraterrena. Questo concetto era già così radicato nel pensiero antico che persino Tobia scambia Raffaele, un angelo, per un normale essere umano che gli funge da guida.
Come detto in precedenza, per quanto riguarda la natura di satana, non è nostra intenzione affrontare l'argomento in modo sistematico. Tuttavia, cercheremo di valutare la correttezza o inesattezza delle affermazioni dello scrittore torinese.
Il brano biblico più celebre dell'Antico Testamento che coinvolge a livello linguistico una figura "satanica" è il libro di Giobbe. Questo testo è così peculiare nel suo contenuto che molti esperti, nonché antichi pensatori ebrei, hanno proposto che si tratti di una storia leggendaria o parabolica priva di fondamento storico, ad eccezione del riconoscimento della storicità dei personaggi coinvolti. In altre parole, il libro di Giobbe è stato concepito come un ampio testo didattico composto probabilmente dal profeta Geremia (o Mosè secondo altri) basato su personaggi storici realmente esistiti, ma non presenta una narrazione storica. Inoltre, non esistono prove documentate della storicità del racconto biblico. L'inizio del primo capitolo recita:
«C'era nel paese di Uz un uomo che si chiamava Giobbe» (v. 1)
Questa introduzione è tipica della stragrande maggioranza delle parabole ebraiche ed è simile al nostro moderno "c'era una volta". Quando si considera l'ipotesi che il libro di Giobbe sia semplicemente una parabola, non dovremmo trascurare l'idea che all'interno di una parabola può accadere qualsiasi cosa. Le parabole possono affrontare utopie e stranezze con disinvoltura e naturalezza, come per esempio l'immagine delle anime dei defunti che conversano tra loro e si preoccupano per i vivi (V. Luca 16:19-31 - Da notare come la parabola evangelica del ricco e di Lazzari inizi similmente all'introduzione di Giobbe: «C'era un uomo ricco [...] e c'era un mendicante» (vv.19-20). Il "c'era una volta" è evidente.), nonostante la Bibbia insegni che nell'aldilà non accade nulla di simile (Ecclesiaste 9:10).
Pertanto, dato che in una parabola può accadere l'impossibile, in Giobbe si verifica qualcosa altrettanto straordinario: durante un'assemblea tra Yahweh e i «figli di Dio», compare la figura di un individuo chiamato השטן (ha-ssatan), letteralmente «il satana». Anche se nella mitologia dell'antico Vicino Oriente si trovano immagini del "consiglio degli dèi", non vi è alcun parallelo stretto con questa scena in tali resoconti. L'Antico Testamento, invece, si riferisce più volte al raduno di Dio e dei suoi angeli (Giobbe 15:8; Salmi 82:1; 89:7; Isaia 14:13; Geremia 23:18,22). Qui un tale concilio fa da cornice alla discussione tra Dio e satana.
In questa sessione, "satana il vagabondo" viene presentato come agente con funzioni di pubblico ministero. Nei testi preesilici dell'Antico Testamento la parola satan è usata senza l'articolo determinativo per indicare gli avversari umani, per esempio gli avversari di Salomone che vivevano nelle nazioni vicine (1° Re 11:14,23,25). Solo nell'era postesilica questa parola divenne una sorta di nome identificativi dell'essere spirituale che si opponeva a Dio (cfr. Zaccaria 3:1-2). Il ruolo di satana in Giobbe è quello di fungere da occhio errante di Dio, il quale vagava per la terra per scoprire qualsiasi attività illegittima. I re persiani dell'Impero Achemenide (553-330 a.C.) erano noti per inviare spie a vagare in tutto il regno per scoprire chi era fedele al re e chi no. Erodoto, uno storico greco, nota che queste spie erano chiamate «gli occhi e le orecchie del re» (Duvall & Hays, The Baker Illustrated Bible, pp. 403-404.). In questo racconto, a satana vengono fatti vestire i panni degli «occhi e orecchie di Dio», per evidenziare anche quanto fosse subordinata al Creatore questa figura «avversaria».
Yahweh porta all'attenzione di satana che Giobbe è qualcuno che teme veramente Dio e vive in modo irreprensibile. Rispondendo come un pubblico ministero, satana ribatte sostenendo che Giobbe serve Dio solo per i vasti benefici che riceve. Dio propone quindi una prova per dimostrare che l'integrità di Giobbe è genuina.
Come abbiamo spiegato in precedenza, la presenza dell'articolo definisce il termine satan come un avversario generico e non come nome proprio, e quindi possiamo interpretarlo correttamente come «l'avversario» piuttosto che «un avversario» qualsiasi. Lo stesso principio vale anche per il sostantivo elohim, che a volte è preceduto dall'articolo: ha-elohim significa «il Dio» o «la divinità», non «un dio» qualsiasi. Dato che, come abbiamo visto, la parola satan può riferirsi anche a persone comuni senza implicare una presunta possessione demoniaca, ma semplicemente a una posizione di ostacolo o intralcio (V. Matteo 16:23; V. Marco 8:33), essa può altrettanto riferirsi a un ostacolo per eccellenza, come denotato dalla presenza dell'articolo come prefisso di ha-ssatan.
Ciò che è insolito nella vicenda di Giobbe è la presenza di «il satana» tra i figli di Dio, con l'intento di intraprendere una sorta di "scommessa" con Yahweh. Sorge la domanda: perché satana si trova tra i figli di Dio? e con quale autorità propone una scommessa a Dio? Questo sarebbe "possibile" qualora Giobbe fosse davvero una parabola, dove può accadere di tutto.
Tuttavia, se fosse stato già cacciato dai luoghi celesti, come può avere accesso nuovamente alla presenza del concilio divino?
L'idea stessa di una scommessa tra Dio e il diavolo appare poco verosimile, poiché nella Bibbia non si registrano vere e proprie conversazioni tra Dio e il diavolo, se non nelle particolari circostanze durante le tentazioni di Gesù. Tuttavia, in quel caso, Gesù non stava conversando con satana; si trattava di un monologo da parte di quest'ultimo, suddiviso in diverse parti, al quale Gesù rispondeva citando alcuni brani della Torah per resistere alle tentazioni.
Nella storia di Giobbe, «il satana» agisce da solo, senza la presenza di alcun demone o angelo. In realtà, la vicenda di Giobbe non descrive una riunione celestiale tra Yahweh, gli angeli e il diavolo. Dal punto di vista parabolico, tutto è possibile, ma dal punto di vista storico non lo è. Chi desidera considerare la storia di Giobbe come una parabola può farlo liberamente, così come chi vuole credere in essa come un evento storico (basandosi sulla fede nella Bibbia, poiché non esistono prove storiche ufficiali) può farlo altrettanto liberamente.
In questa prospettiva, «il satana» non è un angelo caduto che si assume il diritto di accedere presso i luoghi celesti. Piuttosto, si tratta di una riunione tra membri dell'élite superiore, una sorta di "alta casta" («i figli di Dio») alla presenza di Yahweh. Nell'antichità, quando i giudici si riunivano per prendere decisioni su questioni specifiche, se non raggiungevano un accordo unanime ritenevano che ciò fosse una risposta negativa dalla divinità. Al contrario, un accordo unanime indicava che quella era la volontà di Dio. «Il satana» che si inserisce tra i giudici umani ha lo scopo di dimostrare quanto sia facile per la debolezza influenzare le persone, spingendole a voltare le spalle a Dio quando le cose non vanno per il meglio. Quando tutto procede bene, Dio è grande. Ma quando si verificano difficoltà, è facile rinnegarlo. L'intento di «il satana» è dimostrare che, se a Giobbe venissero strappate via le cose a cui tiene di più, come i figli, non esiterebbe a tradire i principi etici e morali di giustizia interpretati alla sua epoca come la "volontà di Dio".
«Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia» (Giobbe 1:11)
Nel contesto del libro di Giobbe, «il satana» non sta effettivamente parlando con Dio, ma con la corte dei giudici («figli di Dio») che lo rappresentano. Anche «il satana» non rappresenta letteralmente il diavolo, bensì una figura umana, come detti più sopra, che riveste il ruolo di pubblico ministero. È importante evidenziare che il libro di Giobbe non mira a dimostrare la storicità degli eventi narrati, ma piuttosto a trasmettere insegnamenti che affrontano il tema del male, un concetto riscontrabile in varie letterature del mondo antico. Questo libro esplora la contraddizione tra il giusto che soffre ingiustamente e il malvagio che prospera nonostante le proprie cattive azioni.
Pertanto, mentre Biglino sostenne che «il satana» fosse uno dei malakim in forma fisica provenienti dallo spazio, l'interpretazione che proponiamo è che si tratti di un individuo umano comune che assume il ruolo particolare di «avversario» di fronte a un problema che coinvolge l'intera umanità, ma che viene presentato in scala ridotta attraverso il personaggio di Giobbe. Tuttavia, poiché la Scrittura può essere interpretata in vari modi, nulla ci impedisce di esaminare la storia di Giobbe come una parabola con un duplice significato: uno terreno e l'altro ultraterreno. Il significato terreno è quello che abbiamo già descritto, mentre il significato ultraterreno riguarderebbe la figura del diavolo e del suo ruolo di accusatore del genere umano. Come vedremo, Giobbe non è l'unico testo nella Bibbia che può essere interpretato con un duplice significato, uno terreno e l'altro ultraterreno.
La teologia che considera satana come il leader di un gruppo di angeli alleati si sviluppa ulteriormente e acquista maggiore importanza negli scritti del Nuovo Testamento (rivelazione progressiva), e trova espressione più chiara nell'Apocalisse giovannea (V. Matteo 25:41; Apocalisse 12:4,9). In realtà, la Scrittura parla di diverse "cadute" del diavolo: dalla dimensione celeste alla Terra, dalla Terra all'abisso, e dall'abisso al fuoco eterno della geenna.
IL SATANA DI ZACCARIA
Una figura "satanica" si manifesta anche nel libro di Zaccaria, al capitolo 3:1-3. Mauro Biglino affronta questa brevissima analisi attraverso affermazioni ovvie che, alla fine, non dimostrano proprio nulla.
«I versetti descrivono brevemente un processo nel quale l'imputato viene, in ultimo, scagionato ed esonerato dalle accuse. [...] L'avvocato difensore dell'imputato, chiede a Yahweh di rimproverare l'accusatore, il [satan], ed esprime parole di speranza per Giosuè, che viene invitato a continuare in futuro secondo i modi prescritti» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 264.)
Quello che Biglino non chiarisce è che questo evento non è reale, ma si tratta semplicemente di un'esperienza onirica del profeta Zaccaria. Egli ebbe la visione del sommo sacerdote Giosuè che si trovava di fronte al malak Yahweh (v. 1), il quale agiva come rappresentante di Yahweh stesso (v. 2). Il contesto di questa visione è il tribunale celeste, dove Giosuè si trova insieme all'angelo che funge da suo difensore, mentre satana si trova «alla sua destra per accusarlo» di fronte a Dio. La posizione «alla destra» degli accusatori durante un'udienza in tribunale era comune nel mondo antico (cfr. Salmi 109:6).
È evidente che l'idea di satana come accusatore dei giusti non è presente solo nello scritto di Giobbe, ma si riscontra anche in Zaccaria e nell'Apocalisse (12:10). Tutto ciò avviene all'interno di una visione.

Michael casts out rebel angels. Illustration by Gustave Doré for John Milton's Paradise Lost, 1866 (Book VI Lines 874-875)
L'ANGELO "SATANICO"
Un passo biblico di notevole rilievo da esaminare è quello dell'angelo di Yahweh in Numeri 22. Questo racconto coinvolge l'asina di Balaam, che riesce a percepire l'invisibile angelo divino mentre Balaam non riesce a farlo fino a quando non è l'angelo stesso a rendersi manifesto.
L'analisi di Biglino, finalizzata a negare l'esistenza del malevolo satana della teologia tradizionale, tende a dimostrare che il termine satan può essere applicato a un malak (messaggero) di Dio. Nessun teologo o rabbino ha mai affermato che "l'angelo del Signore" in Numeri 22 sia il diavolo. Pertanto, la precisazione di Biglino secondo cui l'angelo di Yahweh si è posto sulla strada di Balaam לשטן (le-satan) «come ostacolo» non rappresenta nulla di eclatante. Come già ribadito, il termine satan può avere vari significati connessi, includendo sia il verbo «ostacolare» che la funzione di «ostacolatore, avversario».
Il fatto che il termine satan spesso «rappresenta un compito da assumere o eseguire, che può essere portato avanti sia da uomini che da [malakim]» (Ibid., p. 257.) non è una novità epocale. Se in un dato momento a un angelo celeste viene impartito l'ordine divino di «ostacolare» o bloccare la strada di qualcuno, il termine satan è il più appropriato in questo contesto. Esiste un sinonimo, מכשול (mikshol), che significa anche «ostacolo» (Isia 57:14) nel senso di «inciampo» (Levitico 19:14; Geremia 6:21) e «dolore/offesa» (1° Samuele 25:31; Salmi 119:165), riferendosi a oggetti fisici o situazioni.
Non è fuori dall'ordinario vedere l'angelo del Signore ostruire la strada a Balaam. In questa situazione, l'angelo svolge il ruolo di satan, ma non nel senso oscuro e "satanico" che talvolta il termine può implicare. Ciò che accade in Numeri 22 è un evento concreto, tanto che Mauro Biglino sembra avere qualche difficoltà nel ricordare ai lettori che l'asina di Balaam è in grado di parlare, perché altrimenti dovrebbe ricorrere anche lui all'interpretazione. Egli non menziona affatto questo dettaglio. Dato che non ci sono racconti paralleli nei testi sumer-accadici che possano fornire un riferimento per identificare nell'asina parlante una qualche divinità sumerica, Biglino non presenta alcuna difficoltà nel collegare il serpente parlante della Genesi alla divinità Enki, in quanto quest'ultima veniva spesso rappresentata come un serpente.
L'atteggiamento di malafede di Biglino non è immediatamente evidente ai suoi lettori, poiché la stragrande maggioranza di essi «non verifica mai in prima persona» (Biglino, La Bibbia non parla di Dio, p. 264.) le sue affermazioni. Egli è consapevole che i suoi lettori raramente si documentano o verificano le fonti, ma si lasciano persuadere dalla sua retorica tautologica. Inoltre, se qualcuno osa contestarlo, come stiamo facendo noi, i suoi lettori tendono a etichettarlo come ignorante o stupido.
IL LUCIFERO DI ISAIA
Lucifero rappresenta uno dei numerosi nomi attribuiti al diavolo. Questo termine affonda le sue radici nel latino lucifer, che significa letteralmente «portatore di luce». Il primo a collegare questa parola al diavolo fu Girolamo, il traduttore della Bibbia Vulgata in latino. Utilizzando questa parola, Girolamo tradusse l'ebraico הילל (helel), presente solamente in Isaia 14:12, il quale si riferisce alla «stella del mattino». Da Girolamo in avanti, è stato introdotto il nome «lucifero» nel contesto della cristianità e all'interno della Bibbia in latino.
Isaia 14 rappresenta un inno che celebra la gioia di Israele in seguito alla caduta di Babilonia e all'umiliazione del suo sovrano. I versetti 12-14 sono i più famosi, e recitano:
«Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell'aurora? Come mai sei atterrato, tu che calpestavi le nazioni? Tu dicevi in cuor tuo: "Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del settentrione; salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile a Elyon»
Il profeta Isaia si limita a beffarsi di un potente sovrano, che secondo alcune interpretazioni potrebbe essere Nabonide e secondo altre Serse. Chiunque egli sia, Isaia utilizza un linguaggio satirico per deridere questo individuo.
Analogamente a un evento simile, esiste un presagio assiro riguardante anomalie di nascita, che suggerisce che una grande stella cadrà, forse riferendosi a una meteora. Un testo di presagio ugaritico frammentario riguarda il fenomeno di una "stella del mattino" che cade il trentesimo giorno. Come si diceva sopra, l'ebraico helel ricorre solo qui, sebbene la radice verbale significhi «splendere» (13:10, Giobbe 31:26). La stella del mattino discende dall'«alba» (shahar), un altro abitante della mitologia cananea. Fa parte di una coppia astrale divina, «alba e tramonto» (o stella del mattino e della sera), e discende da Ilu, il capo del pantheon, e da una donna umana. Probabilmente Isaia, per la molteplicità di significato a cui si presta la Scrittura, si riferisce a qualche noto evento mitologico in cui una figura elevata fu relegata negli abissi più bassi, negli inferi stessi, anche se non è chiaro a quale mito si riferisca. L'«Aurora» viene personificata nell'Antico Testamento (Salmi 57:8), ma non viene mai divinizzata. Isaia sta quindi storicizzando un mito ben noto al suo pubblico per applicarlo a uno storico re babilonese. Tale storicizzazione di motivi mitologici può essere vista regolarmente in Isaia ed Ezechiele (cfr. Isaia 27:1 - Cultural Background Study Bible, pp. 1140-1141).
Secondo Mauro Biglino, l'evento della «caduta dal cielo» dell'astro mattutino è stato collegato dai Padri della Chiesa all'affermazione di Gesù in V. Luca 10:18, in cui Egli dice: «Ho visto satana cadere come folgore dal cielo». Lo scrittore afferma che «i Padri della Chiesa e i teologi credevano che Isaia e Luca parlassero della stessa cosa» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 270). Tuttavia, egli rifiuta questo presunto parallelismo, sostenendo che «i Padri della Chiesa nel loro tentativo di concordare Antico e Nuovo Testamento accostano qui due passi che non sono assolutamente correlati tra loro» (Ibid., p. 271).
Supponiamo per un attimo che Isaia 14:12 e V. Luca 10:18 non siano collegati (una prospettiva che condivido). Mauro Biglino non offre alcuna spiegazione ragionevole sul perché non siano correlati. Egli non analizza il significato delle parole di Gesù, pur sostenendo che il parallelismo con Isaia 14 sia stato solo una forzatura dei teologi. Tuttavia, non è compito nostro, in questa sede, fornire una spiegazione del vero significato delle parole di Gesù. Spetta a Mauro Biglino chiarire meglio questo punto, e potremmo rispondere di conseguenza solo dopo aver sentito o letto cosa ha da dire (Ne parlò nel mio già citato trattato di Demonologia).
Tuttavia, riscontrare parallelismi tra l'Antico e il Nuovo Testamento relativi alla figura di Cristo non è stata un'iniziativa arbitraria dei teologi che hanno cercato di presentare una prospettiva "cristocentrica" della Bibbia. Prima di loro, gli autori stessi del Nuovo Testamento hanno individuato diversi passi profetici messianici nell'Antico Testamento che si riferiscono a Gesù Cristo. Anche Gesù ha sottolineato l'importanza di questi parallelismi, incoraggiando il suo pubblico a credere nelle parole di Mosè, poiché ciò avrebbe portato a credere anche in lui, considerando che Mosè «ha scritto di me» (V. Giovanni 5:46).
Ibn Ezra, noto rabbino spagnolo del Medioevo, ha sostenuto nel suo commento su Isaia 14 che la parola ebraica helel è «molto probabilmente Lucifero, come dimostra ben-shachar, figlio dell'aurora». Ibn Ezra non aveva motivo di difendere una teologia cristiana che avrebbe mutato il sovrano babilonese nel diavolo, a meno che non intendesse riferirsi a "Lucifero" nel suo significato parallelo con l'ebraico helel.
Rashi, una figura di spicco che non necessita di presentazioni e che è spesso citato da Biglino, si riferisce alla parola helel in vari modi:
«Lucifero, la stella del mattino [...] questa è Venere, che dà luce come stella del mattino [...] Questo è il lamento sul celeste principe di Babilonia, che cadrà dal cielo»
Rashi identifica il principe di Babilonia come «Nabucodonosor» (lo stesso punto di vista è sostenuto in Duties of the Heart, Sixth Treatise on Submission 10:4). Il Targum Jonathan paragona questo personaggio alla luminosità di Venere tra le stelle (per gli antichi, Venere era personificata nella dea Astarte), a differenza del suo splendore originale quando regnava tra gli uomini. In altre parole: «tu che splendevi tra i figli degli uomini come Venere tra le stelle». Resta da chiedersi se Rashi intendesse usare la parola lucifer in termini comunemente "satanici" o se avesse semplicemente adottato la parola latina già nota al suo tempo, il cui significato («portare luce») corrisponde all'ebraico helel, derivato da יהל (yhl), che significa «far luce».
Ciò che risulta veramente notevole è che non ci sono passaggi nel Nuovo Testamento che sembrino fare riferimento esplicito a Isaia 14 in relazione a satana, che parla di un «astro mattutino» quindi di un corpo celeste che cade. Tuttavia, potremmo trovare un paio di possibili riferimenti solo in Apocalisse, dove si menziona il dragone che trascina un terzo delle stelle del cielo con la sua coda (Apocalisse 12:4) e la stella di nome «Assenzio» che cade sulla Terra (Apocalisse 8:1) avvelenando un terzo delle acque e uccidendo molti uomini. Questi brani si riferiscono a eventi futuri, ma non dovremmo escludere la possibilità che le profezie possano enfatizzare eventi passati che si ripetono ciclicamente nella storia. Per esempio, l'esilio in Egitto predetto da Dio ad Abraamo non fu unico, poiché ne seguirono altri. Ogni esilio successivo aveva sempre una qualche connessione con quello precedente. Pertanto, l'immagine del dragone (diavolo-satana) che trascina con sé le stelle del cielo potrebbe riflettere ciò che potrebbe essere accaduto in passato con la prima vera caduta di satana. Quella descritta nell'Apocalisse rappresenta solo una delle molte cadute che satana ha subito nel corso della sua esistenza.
Un riferimento al lucifer o helel di Isaia 14, nel senso "satanico" del termine, potrebbe essere individuato in Apocalisse 22:16 (cfr. 2:28), dove Gesù stesso, nella sua veste di Messia glorioso escatologico, si definisce «la stella luminosa del mattino». La parola greca correlata è φωσφόρος (phōsphóros), che significa «portatore di luce» (cfr. 2° Pietro 1:19). In questo caso, mentre il primordiale lucifer era paragonato alla stella luminosa del mattino, cioè a Venere, con la sua caduta la vera stella del mattino si è rivelata essere Gesù Cristo. Pertanto, il passo di Isaia può avere un triplice significato: uno terreno, riferito alla caduta del sovrano di Babilonia, uno ultraterreno, riferito alla caduta di satana, e l'altro mitologico, riferito agli antichi presagi assiri sulla caduta di una stella.
IL CHERUBINO PROTETTORE DI EZECHIELE
Il brano presente in Ezechiele 28 costituisce il secondo testo di riferimento che tratta della caduta di satana. In questa circostanza, secondo il significato letterale, su indicazione di Yahweh, il profeta Ezechiele «pronuncia un lamento sul re di Tiro» (v. 12). I versetti 13-15 sono i più famosi, e recitano:
«eri in Eden, il giardino di Dio [...] Eri un cherubino dalle ali distese, un protettore. Ti avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio, camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Tu fosti perfetto nelle tue vie dal giorno che fosti creato, finché non si trovò in te la perversità»
Il re di Tiro viene equiparato a un glorioso e singolare cherubino che un tempo, a causa della sua superbia, fu allontanato dall'Eden, il giardino di Dio. Nella letteratura ANET l'Eden viene collocato a sud di Haran ed è menzionato insieme a Haran in 2° Re 19:12 (Duvall & Hays, The Baker Illustrated Bible, p. 595). Questo è uno dei pochissimi riferimenti all'Eden al di fuori dei primi capitoli della Genesi (cfr. Ezechiele 31). È chiaramente inteso come un giardino, sebbene il v. 16 lo intenda anche come una montagna. È chiaramente rappresentato come uno spazio sacro poiché viene evidenziata la presenza di Dio. Non si conoscono immagini parallele nel resto del mondo antico. Gli interpreti sono giunti a diverse conclusioni sulla forza della metafora qui sviluppata riguardo a questo individuo. Nella nona tavoletta dell'epopea di Gilgamesh, l'eroe lascia Uruk alla ricerca dell'immortale Utnapishtim, il Noè Babilonese. Proseguendo fino alla fine del mondo, arriva alle montagne dove il sole tramonta e sorge e al tunnel sotto le montagne. Gilgamesh raggiunge l'estremità del tunnel giusto in tempo, prima che il sole lo raggiunga, e si ritrova in un giardino di gioielli, dove vive l'immortale sopravvissuto al diluvio. Tali paralleli offrono solo una somiglianza parziale con la descrizione del giardino paradisiaco nella Bibbia (Cultural Background Study Bible, p. 1376).
Conformemente alla Bibbia, l'Eden era situato sulla Terra, precisamente nell'attuale Iraq. Inoltre, il passo menziona un «cherubino», il quale è distinto da un «angelo». Questo cherubino viene descritto mentre camminava tra le pietre di fuoco. La crescente collezione di avori fenici attesta l'importanza del motivo del cherubino nell'arte e nell'iconografia fenicia. Particolarmente degna di nota è la scultura di un re-cherubino il cui volto sembra essere il ritratto del re e sotto i cui piedi si vedono motivi alternati di giardini di tulipani stilizzati e montagne (Ibid).
Secondo la gerarchia angelica delineata dallo stesso Biglino, i cherubini appartengono al più elevato coro della gerarchia, mentre gli angeli al coro più basso. Di conseguenza, se il satana della teologia è un angelo caduto, non può essere associato a un cherubino. Ciò deriva dal fatto che cherubini e angeli sono due entità con gerarchie separate e distinte, dove gli angeli occupano uno status gerarchico inferiore rispetto ai cherubini.
Come può essere dedotto dalla stessa Bibbia, la quale menziona il «diavolo e i suoi angeli», un angelo non può guidare esseri dello stesso rango, ma piuttosto di rango inferiore. E dato che non esiste un ulteriore livello inferiore nella gerarchia dell'angelo, il diavolo deve essere almeno un arcangelo. Consultando la tabella sottostante, è possibile ottenere una migliore comprensione dei ranghi angelici secondo l'angelologia più comunemente nota:
Rango superiore: Serafino (saraf), Cherubino (keruv), Troni (ofan)
Rango intermedio: Dominazione, Virtù, Potestà
Rango inferiore: Principato, Arcangelo (archangelos), Angelo (angelos)
È possibile che l'essere "angelico" considerato il più bello e luminoso dell'Eden appartenga al rango più basso dell'intera gerarchia? Di conseguenza, l'idea che satana sia un "angelo caduto" risulta contraddittoria; se mai, dovrebbe essere definito come "cherubino caduto". E il cherubino-diavolo si adatta bene al ruolo di leader di un gruppo di esseri di rango inferiore, come gli angeli (da non confondere con i «demoni», che rappresentano un concetto completamente differente.
Mauro Biglino dice:
«Come il cherubino nell'Eden, così anche il re di Tiro si trovava un tempo in una posizione di privilegio, ma poi la sua malvagità, avidità e orgoglio si sono impadroniti del suo cuore» (Biglino, Gli dèi della Bibbia, p. 269)
A questo punto, chi è il «cherubino dell'Eden»?
Mauro Biglino non fornisce alcuna risposta, nonostante l'abbia di fronte e la stia ignorando-negando pagina dopo pagina. Questo cherubino era proprio satana. Il destino previsto per questo essere è: «non esisterai mai più!» (Ezechiele 28:19). In aggiunta, al re di Tiro viene detto che sarebbe stato precipitato «nella fossa» e che avrebbe trovato la morte come gli «uccisi in mare» (Ezechiele 28:8). Un'allusione a questo inabissamento sembra trovarsi in Apocalisse 20:2, dove il drago-satana-diavolo-serpente antico verrà precipitato «nella fossa-abisso».
Dove troviamo menzionati i cherubini nell'Eden in altre parti della Bibbia?
In Genesi 3:24, dove erano posti come custodi dell'Albero della Vita dopo l'espulsione di Adamo ed Eva dal frutteto. La presenza dei cherubini nell'Eden è un fatto biblico innegabile.
Pertanto, anche Ezechiele 28 si presta a molteplici interpretazioni significative: una orizzontale, legata al re storico di Tiro, e una verticale, legata al cherubino spirituale dell'Eden. La caduta del re richiama la caduta del cherubino-satana-diavolo, che era stato posto a custodia dell'Eden insieme ad altri cherubini.
Il multiplo significato di un testo non è un tratto esclusivo solo della Bibbia, ma è presente anche nei testi Mesopotamici. Gli antichi pensatori ebrei hanno riconosciuto che da un singolo passaggio biblico possono emergere fino a settanta sfaccettature interpretative. Studiare la Bibbia è simile all'opera del fabbro, il quale con il suo martello colpisce il ferro rovente per dargli forma. All'atto dell'impatto, scintille sprizzano dal metallo. Ciascuna scintilla rappresenta un'interpretazione diversa dello stesso passo, mantenendo sempre coerenza con il testo originale.